Se non ricordo male era fine Giugno….L’Italia iniziava a riaprirsi alla vita e anche io sentivo nel cuore un senso di ottimismo, la voglia di abbandonare quel buco nero che il covid aveva regalato a ognuno di noi. Avevo deciso di rimodernare la tipografia di famiglia, di renderla più bella, ma anche più funzionale e accogliente per i clienti.

Perciò un sabato mattina mi sono messo a togliere poster, cartacce e vecchie locandine attaccate ai muri, per iniziare a scartavetrare e in seguito a pitturare. Un giallo opaco mi sembrava il colore giusto ed ero tutto intento ad assolvere il mio compito, quando sotto un enorme cartellone, che era appeso lì dai tempi del referendum sul divorzio, ho intravisto la testa di una figura femminile, appena accennata sotto quel cumulo di intonaco misto a vecchia pittura.

In quello stesso istante mi sono ricordato di quando ero bambino, quando d’estate passavo tantissimo tempo lì, nella tipografia di mio padre. Io, con quel dipinto, da piccolo, quasi ci parlavo. Mi mettevo là davanti a osservare i particolari e a fantasticare su chi l’avesse mai realizzato. Chissà da quanto tempo. Mio padre mi aveva raccontato che più di 40 anni prima, quando aveva preso quel negozio, il dipinto era già lì a combattere contro il tempo….Nessuno ha mai saputo chi l’avesse creato e col passare degli anni,  il tratto e i colori si erano gradualmente fusi col muro, sparendo alla nostra vista e anche dalla mia mente.

Mentre guardavo con sorpresa quel viso angelico, in un attimo la memoria mi aveva restituito i ricordi, le emozioni legate a quell’immagine e subito mi era venuta voglia di restituirgli gli antichi splendori. Ma come fare? Allora mi sono messo a scartavetrare tutto intorno per creare una sorta di bassorilievo, ma l’impresa era impossibile, specie per un ingegnere prestato alla tipografia come sono io.

A un certo punto, mentre analizzavo razionalmente il da farsi, alle mie spalle ho sentito una voce con uno strano accento:

“Sei aperto? Posso fare delle fotocopie?”.

Mi giro e vedo un ragazzo molto magro e sorridente, un viso educato e movenze eleganti, con dei grossi occhiali da vista e pile di fogli tra le braccia. Gli rispondo che in realtà ero chiuso, ma lui, con una rara gentilezza, mi chiede cinque minuti del mio tempo. Deve consegnare, all’altro capo del mondo, un lavoro entro ora di pranzo e non sa come fare. A quel punto decido di aiutarlo. Dopotutto il mio dipinto aveva aspettato 50 anni…e poteva aspettare altri 5 minuti.

Mentre preparavo la fotocopiatrice e i fogli, ho dato un’occhiata a ciò che dovevo lavorare e mi sono accorto che erano disegni meravigliosi, veri e propri dipinti con mille colori e tratti da artista.

Sono immediatamente tornato da lui a chiedergli se era un pittore o roba del genere e l’ho trovato sopra una sedia, a dieci centimetri dal muro, ad analizzare e a toccare delicatamente il dipinto.

“Ma questo? L’avete fatto voi?” mi domanda sorridendo.

Gli spiego che no, lo abbiamo trovato tanti anni prima e non sappiamo chi l’abbia realizzato.

“E’ un peccato non saperlo…Ed è un peccato che si stia rovinando così…Questa è un’opera d’arte!”.

Gli rivelo che sono d’accordo con lui e che ho intenzione di far qualcosa, ma non so da dove cominciare.

Il ragazzo gentile mi guarda sereno e risponde semplicemente:

“Ma io sì!”.

Un mese dopo, a inizio Agosto, è tornato e, insieme, nelle due settimane successive, abbiamo lavorato (o meglio lui lavorava e io lo guardavo incantato) al dipinto, restituendogli i colori, i basso rilievi, i dettagli e la bellezza del tempo che fu, anzi, ancora meglio!

Oggi l’artista Navid Azimi Sajadi, uno dei massimi esponenti dell’arte visiva iraniana, è in giro a realizzare installazioni e opere d’arte per associazioni e città di mezzo mondo, mentre il nostro dipinto è sempre lì, sulla parete della tipografia, dove è sempre stato, nascosto sotto il peso del tempo e dell’intonaco, finalmente a disposizione degli occhi e della sensibilità di chiunque entri nel nostro negozio…E quando mi chiedono chi l’abbia realizzato, io rispondo con sguardo sognante: “E’ stato il destino!”